Impronte sulla spiaggiaIl giorno più doloroso è stato quello in cui è avvenuta la consegna di una busta gialla con dentro la diagnosi, seguita da un conato di vomito in cui mi ripetevo “non stava parlando di me”. Sono arrivata, tramite un’amica, dopo pochissimo, all’Oncologico, questo finora sconosciuto.

Con delicatezza e dolcezza il medico che mi ha seguito ha fatto si che pian piano metabolizzassi ciò che non riuscivo neppure a nominare, “un addensamento”, “cellule modificate”… Si, non riuscivo neppure a dargli un nome, o meglio non lo chiamavo in quel modo per non far preoccupare nessuno.

Nell’abbraccio con mia sorella che mi ripeteva “sarà benigno”, alla risposta “non lo è” ho realizzato, messo a fuoco ed esternato in un pianto infinito. Grazie ai medici ho affrontato tutto a piccoli passi….una cosa alla volta, dagli accertamenti alla biopsia, agli interventi, fino alla chemio. Momenti di dolore dove credevo di non farcela, la sofferenza fisica e la desolazione nel vedere un corpo trasformato.

Sono un’insegnante e in questo anno scolastico mi sono trovata ad essere un’alunna di questa grande lezione di vita. Se prima credevo di poter gestire e organizzare la mia esistenza cercando di raggiungere gli obiettivi, in questo caso ho trovato uno sbarramento, un blocco che mi ha costretto a pensare che era la vita a decidere per me. E si impara, non si smette mai di imparare laddove, anche nelle brutte situazioni, vuoi trovare e dare un senso, ricercare un significato, e scopri che lì si aprono nuovi orizzonti, diverse opportunità di vivere e di sentire, si conoscono nuove persone e si sperimentano quelle conosciute sotto un’altra ottica….per non parlare di sé stessi!

Allora ho imparato ad accettare e stimare il mio corso di vita, ancora più completo, ad accettare i cambiamenti fisici e la sofferenza, a vedere con distacco ciò che mi è capitato, per certe cose a ironizzarci e pure a riderci su, per non prendere troppo sul serio questa malattia e impedirle che facesse di me una sua serva. Piuttosto ero io (anzi sono, dato che ancora sono sotto terapia) a “portarla” ma, insieme a tutte le altre cose belle che mi circondano e che continuo ogni giorno a vedere con gratitudine (dal sorriso dei miei nipotini, agli affetti, al sole, al mare), spostando l’attenzione dagli aspetti negativi a quelli positivi.

Non mi sono mai arrabbiata, non ho mai pensato “perché proprio a me?”, piuttosto “perché non a me?”. Non sono speciale o esente rispetto ad altre persone che soffrono. La lezione di questa malattia che si chiama cancro mi ha insegnato che bisogna cooperare col destino, andargli incontro con dolcezza, combattere sì con determinazione, ma con un sorriso e non con la rabbia.

Ringrazio chi mi è stato vicino anche col più piccolo gesto, e ciascuno sa. I miei cari, le mie amiche fuori e dentro il gruppo, i medici e gli infermieri e chi in modo speciale, lavorando quotidianamente, riesce a umanizzare la malattia e a far risaltare i colori e le emozioni delle storie di persone e in più a creare ponti che le tengano unite e non si sentano mai sole. Per concludere, credo sia necessario trovare prima di tutto la forza dentro di sé e darne un po’ a chi ci sta accanto, “aprirgli la strada” per permettere loro di aiutarci.

Si prova paura e ansia davanti a una persona malata, un senso di impotenza e non si sa che fare, anche solo per strapparle un sorriso. Ho imparato, inaspettatamente, a trovare la forza dentro di me e a trasmetterla (credo!) a chi mi è vicino e questo ha fatto si che mi aiutassero, restituendomi la forza. Questa, infatti, non si sviluppa a senso unico ma in una bella reciprocità.

Così per citare un esempio, quando mia sorella mi portava da mangiare a letto, le dicevo “mi sento proprio una principessa!”…non era vero, ma mi sentivo forte e davo a lei la forza per sostenermi.

Grazie a tutti voi.