Gruppo Abbracciamo un SognoEssere da questa parte, oggi mi crea non pochi problemi. In altre situazioni è stato tecnicamente difficile ma nel contempo divertente e stimolante, oggi è enormemente, psicologicamente difficile. Perché non sono un tecnico e non parlo di cose tecniche, di ricerca, di professione. Da infermiera e “lavorante” in hospice , son passata dall’altra parte, a  parlare di me come paziente.  Ed esserne consapevole non è stato e non è facile da accettare e gestire. Perdipiù non sono più solo Francesca, sono “un tumore raro” e questa rarità ci regala un limbo di “non conosciuto” che è davvero sconfortante. Nel mio attuale reparto, conosco l’estrema importanza di usare e dosare le parole e cerco di fare molta attenzione al contesto ed a ciò che devo dire e come dirlo.  Ho avuto la fortuna di avere  una prof di latino e greco  che ci ripeteva spesso che durante le traduzioni, era necessario non fermarsi al primo significato proposto dal vocabolario  magari il più usato, ma leggerli tutti e verificare che, inseriti nel contesto, potessero dare un senso  diverso  e magari più calzante al testo da tradurre. E concludeva sempre affermando che le parole hanno un senso e bisogna conoscerlo per poterle usare con appropriatezza. L’uso delle parole da usare con estrema attenzione in qualsiasi circostanza ed a maggior ragione in questo contesto è un’arte spesso disattesa. Abbiamo fatto molti passi avanti ma credo, data la mia esperienza, che ne abbiamo ancora troppi davanti. La parole  se male usate, diventano randelli. E fanno danni tremendi.

Il mio incontro con la parola tumore, arriva grazie ad un chirurgo che, con grande onestà e correttezza e anche con molta, moltissima dolcezza,  mi ha comunicato l’esito dell’istologico. E a me che ero instupidita, è rimasta impressa la sua frase: Abbiamo un problema (abbiamo e non hai, il senso era che non sei da sola…) e nella sfortuna, siamo stati fortunati (e io non mi son sentita sola). All’istologico abbiam trovato questo “coso” e prima di parlare con te, ho studiato perché io sono un chirurgo e non un oncologo. E siccome non è il mio campo, devi andare da un oncologo che saprà dirti cosa è meglio fare, quale terapia è giusto fare. Perché è un tumore raroDovremo rientrare in sala per un altro intervento a brevissimo ma ora devi parlare con l’oncologo”.

Anche se mi è stato detto con molto tatto e molta dolcezza, ricordo la paura anzi il panico, che mi ha impedito di chiedere e parlare e ragionare sulle parole. Il terrore che ti travolge e ti impedisce di pensare con calma e razionalità. Ho pensato al mio lavoro, a quante pazienti avevo accompagnato e il mio cervello è andato in sciopero.  Nell’intervallo tra questo primo colloquio e la visita con l’oncologo, nella fattispecie una serata, ho fatto due cose. Una  giusta ovvero studiare l’istologico, vivisezionarlo come le versioni di greco e capire cosa volesse dire (sarcoma…cellule tumorali nel  letto vasale…parole che solo a leggerle regalavano la paura, quella con la P maiuscola). E l’altra cercare su internet notizie di questo alieno che non avevo mai sentito (non consiglio a nessuno di andare a fare questo tipo di ricerche da paziente…). Ed il risultato è stato : raro, rarissimo, con pochi studi ma proprio pochini… Da qui il mio cervello in sciopero ha fatto un’equivalenza  veloce, fulminea, chiara: se siamo pochi pazienti,  saranno pochi medici; se son pochi medici, saranno pochi studi; se son pochi studi, saranno poche le possibilità terapeutiche.  Ergo sono nei pasticci. Ma tanto stasera devo parlare con lo specialista e mi dirà qualcosa, ci sarà pure qualcosa da fare. Non volevo il miracolo che mi riportasse tra i sani, volevo qualcosa da fare, l’azione. Mi son stampata quelle cose che ho trovato da sola, le ho lette e rilette.  All’appuntamento non ricordo nemmeno come sono arrivata, solo con l’istologico in mano, il terrore nel cuore e i neuroni incapaci  di fare altro che non fosse il solo ed esclusivo respirare.  La visita rapida, breve, quasi amministrativa dopo qualche minuto di silenzio necessario alla lettura dell’istologico, è proseguita con un “boh, è proprio raro, aspetti un attimo che cerchiamo su internet. Anzi venga da questa parte che cerchiamo insieme…” .

Mi è stato insegnato che quando non sai non ti avventuri in territori sconosciuti e che devi rimandare a chi invece conosce. E credo che anche il comunicare di non sapere sia sinonimo di grande intelligenza e richieda somma perizia. Ecco credo che quella modalità di comunicazione, fosse come dire, grossolana.   Sono andata via convinta, per la prima volta in 24 anni di ospedale, che certe grossolanità che si sentono raccontare sui sanitari, potrebbero avere un certo fondamento. In più a far compagnia alle mie paure ormai ingigantite, avevo nell’ordine il risultato delle ricerche fatte “insieme” su internet, stampato su carta riciclata ed affastellate in mano ( gli stessi risultati che avevo trovato da me digitando su Google il nome e cognome del coso raro);  la frase lapidaria “ non c’è niente da fare per i tumori rari”;  nessuna risposta a nessuna delle mie domande e la consapevolezza di quanto fossi sola, senza sapere cosa fare, a chi rivolgermi in quanto rara… A parte internet ovviamente…

È inutile dire anzi è utile dire quanto è stato enormemente difficile superare quella visita, riprendere possesso del mio cervello più o meno normalmente funzionante e cercare di capire cosa fare, a chi chiedere, sempre con quella frase (non c’è nulla da fare per i tumori rari) ben ficcata nella mia testa. Ho patito molto quelle parole che mi hanno regalato mesi di indecisioni e terrore, l’angoscia di non avere niente da fare contro la rarità, la solitudine che nasce dalla paura senza speranza. Il peso di quelle parole riesco a quantificarlo con sufficiente freddezza solo ora e riesco a leggerle e parlarne solo ora, a distanza di tempo.

Poi trovi le persone che sono professionisti di rango e persone di cuore, che sanno usare le parole con attenzione, le conoscono e con grande professionalità ti spiegano,  ti indicano cosa fare, dove spedire i vetrini per la revisione, come cercare la rete e leggerti le linee guida in materia, stanare chi  aveva già seguito altre rarità e rivolgercisi, quale terapia eventualmente fare. E come affrontare gli interventi successivi, la terapia che proprio una passeggiata non è. Le spiegazioni, i dubbi  nel rileggere quel dannato istologico, i limiti della terapia ma anche la ratio nell’uso o non uso di una certa molecola, la distinzione tra una terapia ben consolidata e l’uso di un farmaco off label.  Sembra ovvio, normale, scontato ma non sempre lo è.  So perfettamente che la spada di Damocle è lì, ben sistemata e che sarà ben difficile toglierla, so altrettanto bene che noi rari, siamo dei “così” ben sconosciuti a differenza di un quadro di Leonardo raro anzi unico ma ben conosciuto e che la legge dei grandi numeri ci imprigiona in un punto interrogativo che è un insieme di minuscoli numerosissimi piccoli altri punti interrogativi, per risolvere il quale, ci vorrà, temo, parecchio tempo.

Adesso però  ho trovato chi sa usare le parole con perizia scientifica e con grande sensibilità, parole appropriate, dosate, che sanno scovare dentro di te la speranza, cacciare via la rabbia per le grossolane imperfezioni  e costruire una via da percorrere che magari non sarà quella risolutiva ma è quella che, alla luce delle  conoscenze che abbiamo,  sembra quella da tentare. Siamo qui, noi e le parole. E son certa che quelle persone sapranno trovare le parole  in grado di dirmi sia che ce l’abbiamo fatta, sia che non ci siamo riusciti.

Grazie…