MargheritaMi chiamo Luciana e ho 63 anni. Ho iniziato a fare i conti con il cancro, indirettamente, molto presto, troppo. Avevo appena 6 anni quando mia mamma dopo aver avuto mio fratello ha scoperto di avere un tumore al seno.

Dopo anni passati tra interventi, cure e una lotta estenuante per lei, per me e mio fratello un’infanzia difficile e non certo spensierata, ci ha lasciato. Io avevo 14 anni e ancora tanto bisogno di lei. L’adolescenza trascorsa tra mille complicazioni a dover badare oltre che a me stessa anche a mio fratello non  è stata certo semplice, però io mi ero quasi convinta che le avversità dell’ infanzia mi avessero concesso una sorta di immunità. Consideravo l’idea che il cancro potesse colpirmi un’eventualità remota.  Se da una parte facevo di tutto per allontanare l’idea, nel profondo riconosco che ero terrorizzata.

Ricordo l’ estate del 1993: avevo 41 anni  e una bambina di 5 anni. Ero al mare e a quel nodulo che sentivo nel seno sinistro non volevo dare importanza. Speravo che la mattina svegliandomi non ci fosse più, fosse sparito. Non è stato così. A settembre sono finite le vacanze e anche le speranze. Mi rivedo appoggiata al muro, per non cadere, mentre la dottoressa mi comunica il referto della mammografia “carcinoma di due centimetri”. In quei momenti ho rivisto in un attimo tutto ciò che avevo già visto e sofferto con mia madre, ma soprattutto ero disperata per lei, per la mia bambina tanto desiderata che mi aveva regalato momenti di felicità infantile dimenticati  e che era troppo piccola per restare senza di me. Non volevo e non potevo credere che la storia si ripetesse, che mia figlia dovesse vivere quello che io avevo vissuto.

A ottobre è iniziata la battaglia: prima l’intervento di quadrantectomia, 8 cicli di chemioterapia, non ricordo più quanto sedute di radioterapia e 3 anni di ormonoterapia. Il dolore fisico, il malessere della chemio e gli sbalzi di umore della terapia ormonale li ricordo appena, ma ricordo perfettamente il senso di inadeguatezza ed estraneità che provavo verso tutto e tutti. Pian piano mi sono rimessa in piedi, ho iniziato a fare le cose che mi erano sempre piaciute e che non avevo avuto il tempo di fare, cose che mi distraevano da quella routine fatta di medici, analisi, infusioni ecc. Ho ripreso a dipingere, l’arte è sempre stata una mia passione rimandata per tanti anni, presa dal lavoro e dalla famiglia. Mi sono rifugiata nei colori che mi hanno sempre incantato, gratificato e regalato un senso di benessere psichico. Mi sono immersa nelle infinite varianti delle sfumature per non pensare al domani.  Finite le cure sono rinata più forte e determinata e soprattutto consapevole di tutto ciò di bello e di buono che mi circondava che guardavo con occhi nuovi vivendo giorno per giorno senza fare progetti a lunga scadenza.

Nel frattempo si è ammalata dello stesso tumore anche mia sorella Luisella che ho accompagnato nel percorso di cure e sofferenza. Ma lei non ce l’ha fatta e 8 anni fa anche lei come mia mamma se n’è andata. Sono passati 22 anni da quel lontano 1993 e se di “cancro si vive” io posso testimoniare oggi che di “cancro si può guarire”. Ho ripreso la mia vita, sono tornata come prima. Il corpo guarisce, rimangono le inevitabili cicatrici e la paura a ogni controllo.

Il cancro è  cambiamento, non passa senza lasciare traccia. A me ha lasciato un’ipersensibilità verso tutto, ma soprattutto verso il dolore degli altri, che forse avevo anche prima, ma che il tumore ha messo a nudo completamente lasciandomi a volte indifesa.

In questi anni mi ero resa conto che la mia presenza in salute, dopo un tumore, era di conforto per chi stava lottando per annientarlo. Anche io durante quei momenti di cure e disperazione, per darmi speranza, cercavo delle persone che fossero guarite e tornate a vivere. Sentivo l’esigenza di rendere un po’ di quello che la vita mi aveva ridato, così quando una mia amica mi ha chiesto se volevo entrare a far parte di “Abbracciamo un sogno”, non ci ho pensato due volte. Era quello che avevo in testa da tempo.

Ho trovato un gruppo di persone splendide che accoglie e circonda di affetto e premure chiunque stia affrontando quello che molte di noi “sorelle di cure” abbiamo già affrontato e anche chi non l’ha affrontato personalmente sa di cosa si tratta perché ci lavora, mette tutta se stessa con amore per consolare, alleviare i disagi e fastidi delle terapie e soprattutto i pianti e le paure.

Devo ringraziare mia figlia che mi ha dato la forza e la volontà di guardare al domani con i suoi occhi, mio marito che mi è stato affianco, mi ha supportato e vigilato su di me quando io non ero in grado di farlo da sola, la mia famiglia che mi ha fatto quadrato intorno non facendomi sentire sola, non finirò mai di essere grata alla mia oncologa che mi ha curato come una sorella con affetto e professionalità e che sento sempre vicina, la fortuna e soprattutto mia madre, che da lassù non ha permesso che la storia si ripetesse.