Sole tra le ditaSono Ivana, da due anni convivo con il cancro che amo chiamare “il mio alieno”.

All’inizio non è stato facile giungere a una diagnosi. I miei sintomi spesso sono stati sottovalutati o scambiati per eccessivo stress. Da questo nasce la mia grande convinzione che è necessario ascoltarci, ascoltare il nostro corpo che ci parla, che ci dice cosa non va. Dobbiamo ascoltarci e prenderci seriamente e pretendere che chi per professione deve dare un nome a quel sentire ci ascolti e perda per noi del tempo.

Comunque, finalmente, dopo un tempo che ho vissuto come interminabile, ho effettuato una risonanza che mi diceva della presenza di secondarismi ossei. Mi è stato consegnato il referto cartaceo così, senza alcuna cura di che cosa quelle due semplici parole potevano significare per la mia vita e hanno significato.

Da questa mia esperienza nasce una seconda grande convinzione: chi fa diagnosi non deve assolutamente mai sottovalutare il dramma che delle semplici parole tecniche possono significare per la vita di chi se le ritrova scritte sulla propria pelle  e lo scopre così, senza alcun supporto, senza alcun sostegno, senza uno sguardo e una mano capaci di sorreggerti e di non lasciarti cadere nel vortice angoscioso che si viene a creare dentro di te nel leggerle e nel sentirle urlate dentro la testa.

Ho vissuto due giorni di angoscia non solo per me. Avevo paura di angosciare i miei cari, la mia famiglia, le mie figlie, il mio compagno. Tutto mi sembrava difficile  da dire, quasi mi sentivo in colpa. Dopo, soprattutto grazie al supporto e all’empatia di una delle mie sorelle sono riuscita a superare la paura di non avere più tempo, ma soprattutto il desiderio e bisogno di non perderne altro di importante. Ho liberato il mio cuore comunicando a tutti loro quanto stavo vivendo.

Non è stato semplice, non è semplice a momenti. Il percorso di cura è lungo, a volte mi sento indifesa e sola. Da tutto questo nasce un’altra mia convinzione, e non solo perchè qui con noi oggi c’è la psiconcologa.

Noi, i nostri famigliari e gli operatori che ci seguono, tutto abbiamo bisogno di questa figura importante che è lo psiconcologo. È necessario che non risulti irraggiungibile, sarebbe bello ce la ritrovassimo seduta accanto nelle sale d’attesa mentre aspettiamo di essere chiamate per la visita o per la terapia, sarebbe bello che ci aiutasse a ritrovare la serenità che la malattia ci toglie, che ci aiutasse a dire quanto viviamo dentro, quanto questo nuovo nostro essere “donne diversamente sane” ha bisogno di dire e che ci aiuti a stare accanto alle persone che amiamo senza temere di non esserne più all’altezza.

Ma è anche necessario che supporti le persone che con noi condividono questo percorso che tanto spesso si sentono spiazzate, insicure, impotenti. Non si può e non si deve lasciare al buon cuore di qualcuno quanto ci è dovuto, perchè attraversare questo tempo con serenità e con un buon supporto significa vivere pienamente, rispondere bene alle terapie, e non eccedere nell’uso di altri farmaci.

Ho una grande e profonda convinzione: di cancro si vive, il cancro entra a far parte della nostra vita, delle vite dei nostri famigliari. Occorre che tutto attorno a noi ci aiuti, ognuno per la sua parte, a fare in modo che questa vita col cancro sia sempre e comunque degna di essere vissuta.